La direttiva Ue che obbligherà gli Stati ad adeguare gli edifici alle norme energetiche comunitarie e renderle case green: dalla caldaia alla facciata e al tetto, cosa bisogna sapere in caso di opere già programmate o per interventi sui palazzi in linea con i parametri che diventeranno vincolanti. I costi delle opere e il confronto sui tempi di rientro degli investimenti
Fonte: La Stampa
Tanta paura di dover spendere ciò che non si ha. La direttiva Ue “case green”, altrimenti detta Epdb (Energy performance of buildings directive), ha spaventato molto nella sua prima versione, per diventare ora una norma “quadro” che fissa un percorso da seguire per le legislazioni nazionali, che potranno meglio adeguare le regole ai propri territori. Nessuna limitazione alla vendita o all’affitto ma, per chi non si adegua, la sanzione ci sarà senz’altro. Saranno i singoli Stati a stabilirla “effettiva, proporzionata e dissuasiva”, secondo l’articolo 34 della direttiva.
Un primo effetto comunque c’è già. L’incertezza paralizzante che segue ogni nuova norma. Lo si è imparato con le continue modifiche del superbonus, in cui le prospettive di convenienza, le priorità e i lavori da fare cambiavano prima che si potesse eseguirli davvero.
Da maggio, con l’entrata in vigore della direttiva “case green”, gli stati nazionali avranno due anni di tempo per recepirla in norme imperative immediatamente applicabili.
Chi deve cambiare la caldaia, realizzare il gruppo di autoconsumo per il fotovoltaico, rifare il tetto e la facciata, dovrà però tenerne conto, in modo da adeguare gli interventi e ridurre il fabbisogno di energia e scegliere, tra le alternative tecnologiche possibili. Si evita così che l’edificio in cui si abita sia ricompreso in quelli energivori, soggetti all’obbligo sanzionato di adeguamento. Se ne mantiene il valore, perché pochi sono quelli che a oggi si discostano dalle classi energetiche più basse, F o G.
L’obiettivo Ue per le “case green” è infatti ottenere una riduzione progressiva del consumo medio di energia del 16% per il 2030 e del 20-22% per il 2035 per ogni Stato. Molto arduo da raggiungere è invece quello finale, di arrivare nel 2050 a zero emissioni per tutti gli immobili.
Sono però ricompresi nel primo step al 2023 i lavori eco e superbonus effettuati dal 2020. L’Italia potrà così da subito mettere nel conto tutti gli interventi degli ultimi anni partendo da un ottimo piazzamento. Si tratta di 450 mila edifici completamente riqualificati rispetto ai 5 milioni che si possono considerare come energivori.
Dal primo gennaio 2025 finisce l’ecobonus, il bonus ristrutturazione passa dal 50 al 36%, quello che resta del superbonus scala al 65%. Il dubbio è: conviene utilizzare da subito, sin da quest’anno, i bonus che restano, proprio in ragione delle nuove regole europee, oppure è meglio fermarsi nell’attesa di capire come verranno applicate in concreto? E ancora: in vista della probabile diminuzione dei prezzi in edilizia, dopo l’eccesso di domanda per la cessione dei crediti fiscali, conviene oggi usufruire degli ultimi bonus, e pagare di più e detrarre più, oppure attendere la diminuzione per spendere di meno anche se si detrae di meno?
La risposta è diversa in ragione del contesto in cui si deve scegliere, dipende dall’urgenza dei lavori da eseguire e dai costi e benefici che se ne traggono, ma soprattutto dall’impatto delle spese sulle famiglie.
Partire dall’Ape
Meno si consuma, più si risparmia e più valgono le case green”. Per capire come riuscirci secondo le nuove norme, conviene partire dal risultato. La direttiva “case green” cambia il modo di valutare la classe energetica dell’edificio e lo uniforma in tutta l’Unione.
Il parametro di riferimento per l’attestato di prestazione energetica (Ape) diventa il kWh/m2.a (kilowattora per ogni metro quadro di superficie calpestabile all’anno), l’energia sotto forma di calore necessaria , a un metro quadro di superficie per garantire all’ambiente una temperatura standard di 20° C. La classificazione sarà poi raggruppata nelle note lettere da A a G.
Nel nuovo Ape sono però anche ricompresi l’energia rinnovabile prodotta in loco e le emissioni di gas a effetto serra e il valore del GWP, del potenziale di riscaldamento globale.
L’Ape del futuro identifica così gli edifici che abbiano minimizzato questi parametri. E il primo passo è che dal 2025 le caldaie a gas metano, ora con detrazione al 50% o con sistema di regolazione evoluta al 65%, non saranno più incentivate (articolo17, comma 15).
Non è (ancora) chiaro se rimarranno ancora incentivati i gas verdi, come il biometano o l’idrogeno. Gli impianti ibridi che combinano la pompa di calore con la caldaia a gas dovrebbero (invece) rimanere incentivati. Per capire quali siano gli apparecchi ancora sovvenzionati occorre aspettare l’approvazione di due provvedimenti, l’Ecodesig, che definisce gli standard dei prodotti che possono essere commercializzati, e F-Gas, il regolamento dei gas sintetici utilizzabili nelle pompe di calore. Permane così per ora un’incertezza. Le caldaie attualmente prodotte potrebbero essere adattate con un kit a utilizzare il 20% di idrogeno senza grandi modifiche, molto più rilevanti nel caso di utilizzo del 100%.
Installare un sistema di produzione di energia totalmente elettrico, con energia da fonti rinnovabili, rappresenta la scelta teoricamente migliore solo se l’edificio è adeguatamente isolato. L’investimento necessario è però più del doppio rispetto all’installazione di una caldaia tradizionale a metano, la cui commercializzazione, non l’utilizzo, è previsto finisca per il 2040.
Il caso caldaia
Per valutare le alternative tecnologiche occorre valutare il tempo di ritorno, mettere a confronto in quanto tempo si recupera la somma spesa, tenendo conto del costo iniziale, degli eventuali interessi se il pagamento è dilazionato, dei risparmi conseguiti rispetto a quelli storici precedenti e alle manutenzioni per condurre e conservare in efficienza l’impianto.
In un edificio di 30 appartamenti con una centrale termica di prima generazione, il nuovo impianto ibrido può costare 150 mila euro. Dopo l’installazione, la spesa annua di metano si riduce da 35 mila euro a 17 mila. Il tempo di ritorno senza agevolazione fiscale è di circa otto anni. La spesa sostenuta entro il 31 dicembre di quest’anno permette di aver diritto alla detrazione del 65% con un tempo di ritorno più che dimezzato. Se la spesa dovesse essere presa a prestito e mutuata in cinque anni, l’ammontare degli interessi è del 24% in più, il tempo di ritorno è quindi di circa sei anni. Il condominio si trova però sin da subito, compresi gli interessi, a pagare molto meno di quanto pagava prima.
Nel caso invece si passi a pompa di calore tutta elettrica, la spesa si attesta sui 220 mila euro, e i consumi annui si riducono. Se l’impianto di distribuzione è isolato e lo sono un poco anche le unità immobiliari la spesa scende sotto i 10 mila euro. In tal caso i 25 mila euro risparmiati ogni anno nei consumi permettono di rendere quasi equivalente il tempo di ritorno dell’investimento.
Ad entrambe le soluzioni vanno aggiunti i costi di manutenzione.
Prima della direttiva “case green” sarebbe stato meglio investire meno a parità del tempo di ritorno dell’investimento. Dopo la direttiva, l’impianto più costoso è anche quello che meglio si adatta alle basse emissioni e quindi con una durata dell’impianto più lunga.
L’impianto a gas abbisogna di una centrale termica conforme alle norme di prevenzione incendi, situazione spesso impossibile da realizzare. È il tetto dell’edificio il luogo dove dislocare invece le torri di evaporazione delle pompe di calore. Il rumore che i ventilatori di raffreddamento producono deve essere schermato per evitare disturbi alla quiete e anche le autorizzazioni paesaggistiche vanno ottenute prima di eseguire i lavori.
Il caso tetto e facciate
Sono rari i casi in cui si è scelto di eseguire i lavori del super, eco o sisma bonus per migliorare la prestazione energetica dell’edificio o migliorarne la statica. Si è utilizzato la cessione del credito fiscale, propria di ciascun bonus, per poter ripristinare, con spese davvero contenute, tetti e facciate deteriorate. L’articolo 17 della direttiva Epdb sceglie invece la via dei prestiti per l’efficienza energetica, mutui ipotecari, contratti di rendimento energetico e aliquote fiscali ridotti su lavori e materiali, legati ai risparmi energetici conseguiti. Ed entro dodici mesi dal prossimo maggio, la Commissione Ue deve integrare la direttiva con il coordinamento verso istituti finanziari per mutui ipotecari verdi o prestiti verdi, garantiti o non garantiti.
Indebitarsi per risparmiare sembra però sempre una contraddizione. Specie in condominio, dove il ricorso al finanziamento è percepito come un rischio. Necessita infatti dell’adesione per contratto verso la banca, a quel vincolo di solidarietà dovuto per legge – dopo la preventiva escussione del moroso – verso l’appaltatore che realizza i lavori. La condizione di convenienza, come per il caso caldaia, è che il risparmio ci sia davvero. Le situazioni di chi vive in condominio sono poi le più varie: oltre a chi ha basso reddito e non detrae (gli incapienti), c’è ormai un popolo di partite Iva flat tax che sono escluse da ogni possibilità di detrazione, per cui i lavori di tetto e facciata non risulterebbero sostenibili. Così sono moltissimi i casi degli anziani, ricchi di patrimonio ma poveri di reddito, che si troverebbero in grave difficoltà se l’assemblea dovesse decidere lavori tanto ingenti.
Oltre al finanziamento, potrebbe quindi essere utile realizzare un’organizzazione per lotti delle opere, definita con il professionista, in modo che sia possibile l’esecuzione frazionata pluriennale dei lavori, anche se questo può portare alla ripetizione di costi generali per l’organizzazione di cantiere e alcune modifiche all’edificio. Occorre tener conto che vi è l’obbligo di legge della costituzione del fondo in modo progressivo ai lavori – articolo 1135 Codice civile, comma 1, numero 3, così interpretato dalla Corte di Cassazione 9388/2023 – per cui solo dividendo per lotti gli interventi i proprietari possono essere nella condizione di poterli sostenere. Un aiuto a mitigare le spese dei lavori potrebbe arrivare nei prossimi mesi dalla diminuzione dei prezzi in edilizia. I ponteggi, passati, ad esempio, da 12 euro a metro quadrato durante la casa dei bonus a oltre 40, non potranno che diminuire visto che la quantità acquistata è tale che le imprese non hanno neppure gli spazi per accatastarli. Si sono invece già ridotti i prezzi di molte lavorazioni. Per accorgersene occorre consultare molte imprese per ogni lavoro, attivando così anche le correzioni sui valori che la concorrenza tra operatori sempre produce.
Costi, benefici e valore dell’immobile
Almeno il 55% della riduzione del consumo di energia deve essere realizzato con il rinnovo degli edifici più energivori, che rientrano nel 43% degli immobili con prestazioni più basse. Sono i Paesi membri a dover individuare quali sono e quali invece possono essere esclusi perché si trovano in centri storici, parchi, o zone vincolate; si tratta anche di seconde case utilizzate per meno di quattro mesi all’anno o piccoli immobili sotto i 50 metri quadrati. Gli Stati possono anche decidere di non applicare le norme per gli edifici ufficialmente protetti di particolare valore storico e architettonico o “laddove la loro ristrutturazione non sia tecnicamente o economicamente fattibile” (articolo 9, comma 6). Resta quindi aperta la possibilità degli Stati membri di escludere alcune situazioni particolari da ben definire, valutando la convenienza del risultato ottenuto rispetto alle risorse impiegate. Il principio escludente è un po’ simile a quello che permette di evitare la contabilizzazione del calore nelle case quando, come per gli impianti a pannelli radianti, sia dimostrata l’impossibilità tecnica e, soprattutto, che i benefici di risparmio non giustificano i costi.
L’adeguamento alla direttiva “case green” incide anche sul valore dell’immobile. Sono indubbiamente pochissimi gli edifici che si discostano dalle categorie più basse, ma proprio la carenza di offerta di qualità riduce gli effetti sul mercato e sul valore del singolo immobile le conseguenze del mancato adeguamento. Se non vi sono edifici in categoria A, il mercato sarà orientato dagli immobili di categoria inferiore e solo dopo il miglioramento progressivo dell’offerta si comincerà ad avvertire il deprezzamento degli immobili più energivori.
Un recente studio della banca d’Italia ha scoperto che è del 25% l’aumento sul prezzo degli immobili resi più efficienti, premio influenzato dalle condizioni ambientali tipiche del territorio) Può invece avvenire che le opere necessarie per l’adeguamento siano manifestamente sproporzionate rispetto al valore dell’immobile, tanto da rendere non giustificato l’adeguamento. Sono i casi in cui converrebbe demolire e ricostruire. Ma questo può avvenire solo se i valori immobiliari sono alti, quindi a Milano o a Roma, o in poche altre città o località veramente attrattive. Negli altri casi potrebbe trattarsi di un adeguamento insostenibile, per cui convenga valutare di pagare la sanzione o di dimostrare che l’intervento è economicamente non fattibile.
Case verdi o case al verde
È poco probabile che i governi degli Stati nazionali, ai quali è demandata l’attuazione pratica del provvedimento quadro, attuino politiche a tappe forzate anche se la possibilità di infrazione è dietro l’angolo, perché ciascun governo deve confrontarsi con l’impopolarità di obblighi così pesanti sul patrimonio delle famiglie.
La direttiva “case green” in linea di massima non deve quindi spaventare e dovrebbe essere vista come un’opportunità di programmare meglio le proprie spese guardando agli effetti futuri anche per chi verrà dopo di noi.
Se il tetto fa acqua e la facciata crolla, dopo gli interventi tampone che permettono di evitare danni maggiori e di avere il tempo di organizzare la spesa in lotti funzionalmente adeguati e economicamente sostenibili, nel programmare il risultato occorre tenere presente anche gli obiettivi della direttiva.
Se però l’investimento necessario, tradizionalmente difficile in condominio perché c’è sempre chi attraversa una fase della propria vita in cui le risorse finanziarie mancano, non è almeno ripagato dal premio sul valore della propria casa, il privato non effettuerà l’investimento che non sia di semplice manutenzione.
Sarà sensato fare invece i lavori che sono ripagati dal risparmio immediatamente conseguito, cercando in ogni modo nella scelta di adeguarsi, a parità di spese, agli obiettivi della direttiva. Sarà possibile se i finanziamenti e gli incentivi promessi nel provvedimento diventeranno concreti con un’attenzione particolare alle case in condominio, in cui spesso – lo si è scoperto drammaticamente con il superbonus – il diavolo sta nei particolari delle norme speciali e nella giurisprudenza, che bloccano provvedimenti pensati positivi.
In concreto: l’anno prossimo finisce l’incentivo per le caldaie a gas: è il momento di optare per un impianto a pompa di calore o di sostituire la caldaia ancora incentivata al 50-65%.
È invece probabile per tetti e facciate che, proprio la direttiva “case green”, produca nella prossima legge di bilancio, la riorganizzazione dei bonus già annunciato, con un occhio al portafoglio e uno all’ambiente, dando già attuazione alla direttiva. Sarebbe invece da evitare un limbo legislativo di attesa delle nuove norme che produca incertezze paralizzanti per famiglie e imprese. per la ca